Salute fisica, salute psicologica

La psicosomatica è quella branca della medicina e della psicologia clinica che indaga sul malessere del corpo per scoprirne la possibile eziologia di tipo psicologico. La disciplina parte dall’assunto di base secondo cui mente e corpo costituiscono una diade inscindibile.
Il modello “popolare” della psicosomatica suggerisce che qualcosa che accade nella “mente” si possa ripercuotere sul “corpo”, finendo per riproporre un dualismo sostenibile soltanto in termini metafisici; ne consegue una distinzione netta tra malattie “psicosomatiche” ed altre di origine esclusivamente organica. Tale distinzione, da un lato esclude la maggiore parte della patologia somatica dall’intervento psicologico, dall’altro finisce per sostenere la possibilità di ottenere risultati terapeutici in alcune malattie con un intervento solo psicologico, con risultati deludenti.

Il medico specializzato di solito diagnostica la presenza di una malattia psicosomatica quando ai sintomi e al malessere fisico (dolore, cefalea, ecc.) non è collegato il riscontro di una malattia fisica a seguito di esami clinici.
La psicoanalisi rappresenta un tentativo anzitutto di riportare in primo piano l’importanza di fattori emozionali, relazionali, sociali nel determinare la salute e la patologia dell’essere umano. Si può collocare l’esordio di questa proposta nell’opera di Freud, che andò ad occuparsi proprio di quei fenomeni fisici, detti isterici, che non corrispondevano ad alcuna alterazione anatomo-patologica e risultavano quindi negletti dalla medicina.

La condizione di salute/malattia accoglie la portata eziologica della qualità emotivo-affettiva dei legami significativi, nell’età evolutiva e in ogni ciclo di vita dell’individuo.
Carenze nelle relazioni primarie possono avere effetti a lunga distanza sulla maturazione dei sistemi fisiologici e quindi sulla suscettibilità a malattie somatiche.
Ad esempio, secondo lo psichiatra e psicoanalista James Grotstein (1997) il concetto di regolazione affettiva e fisiologica è alla base della salute e della patologia: una carenza di contenimento, di sintonizzazione, di un disturbo nelle relazioni primarie farebbe sì che l’emozione rimanga ad uno stato estremamente primitivo. Una condizione clinica di alessitimia, ovvero una scarsa capacità di riconoscere ed esprimere emozioni, soprattutto nella dimensione cognitivo/esperienziale e interpersonale, è poi correlata a livelli elevati di attivazione simpatica (quella parte del sistema nervoso autonomo con funzioni di reazione attacco/fuga mediata dai neurotrasmettitori acetilcolina e noradrenalina) e ad un più elevato rischio di sviluppare patologie neoplasiche.

Coerentemente a questa visione più olistica dell’uomo, negli ultimi decenni la ricerca scientifica connessa con la psicosomatica si è concentrata sulla psico-neuro-endocrino-immunologia (PNEI): una nuova materia di studio che è riuscita a collegare il disagio psicologico dell’

Consideriamo, inoltre, come e quanto gli effetti della condizione relazionale traumatica, la situazione di vita del soggetto stressato – cui il soggetto stesso dà ovviamente il suo contributo e che sperimenta secondo le proprie caratteristiche – possano innescare una reazione nell’organismo che a livello della coscienza registriamo ad esempio come ansia, attacchi di panico, a livello fisiologico come aumento di adrenalina (di cortisolo ecc.). L’attivazione del sistema immunitario può esercitare effetti a livello del sistema nervoso centrale e viceversa.
Come in un sistema cibernetico autoregolantesi, composto di diversi sottosistemi interagenti, una perturbazione del sottosistema “sistema nervoso centrale” (substrato della vita mentale avente come effettore finale l’ipotalamo) può comportare una perturbazione del sottosistema “sistema immunitario”, collegato al primo attraverso un’ampia serie di vie (asse ipotalamo-ipofisi-corticale del surrene; asse ipotalamo-sistema nervoso autonomo-midollare del surrene; neuropeptidi).
Non solo le condizioni sociali esterne possono creare una reazione fisiologica abnorme. La considerazione di sé, del proprio io sociale, della propria alta o bassa autostima, per esempio, sono correlati con una sensibilità e percezione del dolore fisico più o meno elevate. Lo stile di vita, il vissuto di uno scarso benessere, bassa qualità della vita e deterioramento delle prestazioni lavorative e sociali possono creare sintomi depressivi ben più che l’intensità e persistenza del dolore cronico, alimentando una sofferenza soggettiva che rappresenta la parte psicologica di sindromi croniche quali fibromialgia ecc.
La lettura dei fenomeni clinici in chiave psicosomatica prima, in termini PNEI e bio-psico-sociali ora, correla il medico allo psicologo-psicoterapeuta in un lavoro integrato di diagnosi congiunta.
La presenza di servizi territoriali, di ambulatori in cui medici di medicina generale e psicologi di cure primarie sono disponibili e compresenti, si confrontano su situazioni di vita e di relazione che si esprimono in sintomi fisici nei loro pazienti, potrà favorire un salto di qualità nella clinica del domani.


Bibliografia di psicologia di cure primarie

  • GROTSTEIN, J.S., (1997a), ‘Mens Sana in Corpore Sano’. The mind and the body as an ‘odd couple’ and as an oddly coupled unity”. Tr.it. In Ricerca Psicoanalitica, 2002, 13, pp.255-274.
  • SOLANO, L., (2013) Tra mente e corpo, Milano, Cortina Ed.
  • SOLANO, L. (2015). A partire dall’unità corpo/mente. Relazione presentata al Centro Milanese di Psicoanalisi. 23 Ott 2015

Pubblicato in originale su https://sipcp.it/salute-fisica-e-salute-psicologica-psicosomatica/

“Oltre la fiaba di Hansel e Gretel”: una riflessione sui temi dell’abuso e della violenza ai danni dell’infanzia

Il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia.” recita l’Art.1 della Legge 4 Maggio 1983, n.184 che disciplina l’adozione e l’affido di minori.

La letteratura psicologica a riguardo si presta a supporto di tale normativa, evidenziando l’importanza vitale delle cure materne, la cosiddetta funzione di holding, nel corso del primo anno di vita e il diritto del bambino a un’esperienza primaria di casa “senza la quale non possono essere poste le fondamenta della salute mentale” (Winnicott, Britton, in Bowlby 1952).

Ispirata dalla mia breve esperienza nell’ambito dei servizi sociali residenziali per minori e dalle biografie di bambini vittime di violenza familiare, che con i loro sguardi impregnati di innocenza, il loro essere in un mondo talvolta troppo spudorato, mi hanno quasi costretta a toccare con mano verità dolorose e indicibili, mi sono immersa in una riflessione sull’abuso e la violenza ai danni di minori, realtà attorno alle quali ancora oggi la comunità sociale continua a disseminare tabù.

Da una prima analisi della letteratura emerge una triste realtà: la violenza ai danni dei bambini rappresenta, purtroppo, un fenomeno senza tempo e profondamente radicato nella storia antropologica della nostra civiltà. Nonostante il dilagare del sapere psicologico e pedagogico, che riconosce al bambino esigenze e bisogni affettivi di vitale importanza, il fenomeno della violenza minorile, fisica, psicologica e/o sessuale che sia, rappresenta, per la sua entità, un’emergenza sociale non trascurabile, le cui risonanze sullo sviluppo psichico del bambino dovrebbero renderlo un problema di interesse collettivo. In Europa è vittima un bambino su cinque e, più frequentemente di quel che si crede, il mostro è sotto il letto, tra le mura del focolaio domestico. Quello di cui stiamo parlando, insomma, non è solo carta scritta dei giornali di cronaca, bensì brutale realismo. Gli sguardi che ho incrociato durante la mia esperienza in comunità sono solo una piccola parte della grande testimonianza vivente della tragedia che troppo spesso si consuma tra le mura domestiche, quelle quattro mura che dovrebbero proteggere e che invece si prestano a divenire scenari oscuri in cui si consuma l’esperienza di mostruosa violenza. Quelle che ho ascoltato sono voci che rivelano storie di abusi, di maltrattamenti fisici e psicologici, di trascuratezza e deprivazione affettiva, storie di dolore di bambini costretti a crescere troppo in fretta, storie di vite dissipate, deturpate e gettate via.

L’esperienza nel reale ci rivela una dimensione di drammaticità che talvolta, purtroppo, non lascia alcuno spazio ad una potenziale progettualità familiare, alla possibilità per il minore di sperimentarsi nel proprio contesto relazionale di origine, essendo quest’ultimo focolaio di violenza tribale, palcoscenico preferenziale dove si mette in scena la tragedia familiare di cui tutti i protagonisti sono vittime designate e autori al tempo stesso. Queste righe vogliono essere un tributo a quei bambini prigionieri della loro solitudine, a quei fragili corpi che portano dentro il peso insostenibile di segreti terribili e devastatori, segreti famigliari attorno ai quali cala il sipario, il buio pesto. Contribuire all’abbattimento di quell’alone di omertà, o almeno provare a vedere cosa accade realmente al di là di quel muro di pietra che, spesso, l’atteggiamento della nostra società, con i suoi tabù, contribuisce a mantenere attorno a queste storie di sofferenza, diventa oggi un impegno etico, un dovere morale, un fatto di coscienza pubblica. Come operatori e, ancor prima, come persone umane, siamo chiamati, dunque, a riconoscere le resistenze emotive e sociali all’ascolto delle storie di sofferenza delle piccole vittime di maltrattamenti per poterle contrastare attivamente e favorire l’abbattimento del fenomeno di tabuizzazione che esiste ormai da secoli: se è vero infatti che spesso mancano le parole per raccontarsi, è altrettanto vero che ancora più spesso non vi sono orecchie e menti adulte capaci di ascoltare verità dolorose e indigeste.

Intervista al Prof. Mario Bertini

Intervista al Prof. Mario Bertini

La salute è una dimensione positiva, è una presenza.
La salute è uno stato di benessere fisico psichico e sociale.
La salute implica è una realtà complessa, abbiamo solo una possibilità di dare uno sguardo specifico agli aspetti psicologici, senza trascurare l’apertura interdisciplinare alle altre dimensioni. 
Fine anni ’70 nasce la psicologia della salute.

Psicologo di quartiere

Inizialmente sperimentato a Milano, si è poi diffuso in varie città e Paesi. Si tratta di un servizio di ascolto psicologico “offerto” da molte farmacie comunali, dove uno psicologo offre ascolto e dà indicazioni e informazioni su come fronteggiare i problemi alle persone che ne sentono il bisogno.

Di cosa si tratta
Lo psicologo di quartiere ovviamente per motivi di spazio e tempo non effettua delle vere e proprie sedute di psicoterapia all’interno della farmacia ma svolge un servizio di counseling che è stato molto apprezzato dai cittadini, tanto che si sta cercando di ampliare questa iniziativa. 
L’iniziativa è nata per dare l’opportunità alle persone che ne sentono il bisogno, e che spesso non hanno i soldi per una visita privata, di potersi comunque rivolgere a figure professionali serie. 
Sono sempre di più le persone che necessitano di un sostegno psicologico per recuperare l’equilibrio interiore. Questo disagio è spesso presente nei giovani per problemi legati all’insicurezza e alle difficoltà della crescita, manifestate attraverso l’abuso di droghe e alcol, ma anche le persone più adulte hanno bisogno di contenere i loro disturbi di ansia e depressione, spesso conseguenza della solitudine e dell’emarginazione o negli ultimi tempi anche della crisi economica.

Psicologo di quartiere
Perché è nato questo servizio
L’idea dello psicologo di quartiere è nata oltre che per promuovere il benessere individuale e collettivo, anche per alleggerire il servizio pubblico di richieste non sempre appropriate sulle tematiche dei disturbi psichici e psicologici, con conseguente risparmio delle strutture sociosanitarie.
Inoltre questo progetto offre sostengo a chiunque, anche e soprattutto a coloro che hanno difficoltà economiche; l’intento è quello di fare prevenzione psicologica, individuare disturbi clinici o della psiche, offrire un supporto per  problemi personali, famigliari e di coppia. 
Fino ad oggi le statistiche segnalano che l’80% delle persone che si sono rivolte al servizio sono donne, il 14, 5% sono giovani di età fino a 29 anni e il 14,8% ultrasettantenni. Nella metà dei casi il disturbo più individuato riguarda gli stati ansiosi e depressione. In molti casi viene data una risposta a semplici disagi che se non individuati in tempo rischierebbero di diventare più seri con complicanze più difficili da risolvere. Il fatto che la consulenza avvenga in farmacia è perché questo luogo è noto e rassicurante e non dà l’impressione di un posto per “malati mentali”.

Dove si può trovare e come funzionaPsicologo di quartiere
Il servizio per ora è attivo in 25 farmacie comunali milanesi, a Bologna, nella provincia di Lecce, ma anche in molti altri paesi più piccoli. Solitamente dove è presente, viene segnalato con un cartello ben visibile sulla vetrina della farmacia. 
È sufficiente entrare e prendere l’appuntamento in base alla disponibilità; di solito si “offrono” dai 4 ai 5 incontri dopodiché la persona se ha bisogno di una psicoterapia o di un sostengo più prolungato viene inviata a servizi più specifici. C’è chi magari va solo per curiosità e usufruisce di un unico incontro, ma anche chi invece decide poi di continuare nel percorso iniziato. La consulenza è totalmente gratuita per il cittadino perché il servizio viene patrocinata spesso dal Comune o dalla società che gestisce le farmacie comunali.